Blog

Riflessioni, notizie, suggerimenti che più mi sono "a cuore" per il nostro cuore
cuore-covid-1200x680.jpg

Tanti i segni dell’infezione sul cuore: dolore al petto, palpitazioni e alterazioni del battito. Ma anche stanchezza, indebolimento generale, affaticabilità e difficoltà respiratorie. L’intervista al professor Gianfranco Parati su Long Covid e coinvolgimento cardiaco.

L’infezione da Sars-Cov2 può causare manifestazioni psicologiche e cliniche, anche importanti, a mesi di distanza dalla guarigione. Si parla, appunto, di Long Covid come di una sindrome post-virale a sé. È l’insieme dei disturbi che persistono settimane dopo la negativizzazione e l’eliminazione del virus dall’organismo.

Per indagare le conseguenze post-acute del Covid-19 sul cuore abbiamo intervistato un esperto, il professor Gianfranco Parati, Direttore Scientifico dell’Istituto Auxologico Italiano (IRCCS), Professore Senior di Medicina cardiovascolare dell’Università di Milano-Bicocca , già Direttore della scuola di specializzazione in malattie dell’apparato cardiovascolare. Parati, inoltre, è stato eletto “Chairman-elect” del Council on Hypertension, una delle associazioni che costituiscono l’European Society of Cardiology (ESC).

Long Covid, gli effetti della prima fase della malattia sul cuore

«Per Long Covid si intende quello che succede dopo 12 settimane almeno dalla malattia acuta. Parliamo di tre mesi dall’infezione – precisa il professore – quando si è usciti dalle conseguenze immediate». E bisogna fare una prima distinzione: «Da un lato – prosegue il professor Parati – ci sono le conseguenze delle alterazioni vissute in fase acuta. Fenomeni infiammatori, legati ad alterazioni della coagulazione o alla possibilità di eventi ischemici. Questi pazienti possono avere nel lungo periodo: dolore al petto – lo riferiscono in molti ma non sempre si trova una corrispondenza con gli esami che si fanno -. E poi palpitazioni e alterazioni del battito – per cui influisce anche la componente psicologica – stanchezza, indebolimento generale, affaticabilità e difficoltà respiratorie».

I segni della fase acuta: aritmie e ridotta distensibilità del cuore

Dall’altro, ci sono alcuni guariti che presentano fenomeni specifici di interessamento cardiaco. «Si tratta di pericarditi o miocarditi sviluppate nella fase acuta che possono continuare nel tempo o insorgere successivamente. Quello che si è visto dai primi dati raccolti perché il fenomeno è in corso – chiarisce il professor Parati – è una ridotta distensibilità del cuore. Diventa meno “elastico” e questo, in futuro, potrebbe predisporre una maggiore facilità allo scompenso cardiaco. In aggiunta, ci sono le aritmie, legate ad esiti infiammatori o fibrotici, che possono comparire a distanza di tempo. Per quanto riguarda il lungo periodo, dai dati raccolti finora, non sembra esserci un aumento della mortalità per cause cardiache, rischio dei primi 90 giorni dal contagio. Spesso la risonanza magnetica e cardiaca, nel lungo periodo mostra alterazioni, presenza di cicatrici fibrose sul cuore che rispecchiano ciò che è accaduto nella prima fase».

I numeri: un 20% di pazienti lamenta dolore toracico

I sintomi elencati dal professore riguardano migliaia di pazienti di tutte le ondate. La maggior parte dei pazienti in follow-up, però si sono ammalati nel corso della prima. Nelle emergenze successive, infatti, le forme cliniche erano meno importanti e molti sono sfuggiti all’osservazione ospedaliera. «Numeri ce ne sono pochi – ammette – si parla di un 20% di pazienti che lamenta dolore toracico, un 2-4% sviluppa trombosi, un 7% embolie polmonari. Ma sulle complicazioni cardiache c’è molta discussione e i dati sono in divenire». Le conseguenze sul cuore interessano anche i giovani?. «Sulla base di quello che sappiamo ora, nel lungo periodo sicuramente qualcosa sul cuore resta. Non sappiamo ancora quanto grave, se questi effetti si risolveranno nel tempo, se lasceranno cicatrici indelebili o comporteranno e un peggioramento delle condizioni di salute. Soprattutto negli adulti. I giovani, ripeto, sfuggono ai dati degli ospedali e sono rintracciabili solo se cercati in modo specifico».

Long Covid e cuore: esami di controllo a tre mesi dall’infezione

«Chiunque abbia avuto un Covid importante deve fare una visita cardiologica con ECG ed ecocardiogramma di controllo a tre mesi dall’infezione nei centri che hanno ambulatori Long Covid o dal proprio cardiologo di fiducia, anche se non ci sono sintomi. Chi ha sintomi persistenti deve fare esami anche successivi, a sei mesi e oltre, dipende da quali sono i risultati dei primi effettuati. Farei un check di controllo intorno ai tre mesi per poi continuare a monitorare la situazione finché il problema non si risolve».

Farmaci antipertensione, studio conferma effetto protettivo sul cuore

Nella prima fase della pandemia si è discusso tanto della possibile pericolosità di alcuni farmaci per l’ipertensione. «Qualcuno scrisse che questi farmaci spalancano la porta al virus – sottolinea il professore -. Vorrei segnalare che di recente è uscito un lavoro in collaborazione con l’ospedale di Bergamo. Dai dati raccolti su 1400 pazienti colpiti da Covid-19 nei primi mesi del 2020 è emerso, al contrario, l’effetto protettivo dei farmaci anti RAAS nei soggetti più anziani e con mortalità più elevata. In relazione al Long Covid e alle ripercussioni sul cuore, si è visto che questi farmaci, in specifiche situazioni cliniche, possono dare una continua protezione. È fondamentale, quindi, per tutti, continuare le terapie» evidenzia l’esperto.

L’importanza dei dati, il progetto ISS-ministero della salute

Per introdurre strategie di gestione clinica degli effetti del Long Covid è nato il progetto ISS-Ministero della salute. «L’obiettivo – conclude il professore – è raccogliere più dati in modo organizzato e sistematico. Preparare una scheda di raccolta dati condivisa e omogenea ci consentirà di avere un numero elevato di osservazioni. E di dare indicazioni più stringenti e solide basate su maggiori evidenze».

 


covid.jpg

I dati di uno studio pubblicato sull’European Heart Journal condotto su 148 pazienti provenienti da sei ospedali londinesi mostrano un’importante correlazione tra forma grave di Covid e danno cardiaco

 

Circa il 50 % dei pazienti ricoverati per una grave forma di Covid-19 e che mostravano livelli elevati di una proteina chiamata troponina hanno poi riportato danni al cuore. La lesione è stata rilevata tramite risonanza magnetica (MRI) almeno un mese dopo la dimissione. E’ quanto emerso da uno studio pubblicato sull’European Heart Journal. Il danno al cuore include infiammazione del muscolo cardiaco (miocardite), cicatrici o morte del tessuto cardiaco (infarto), limitato afflusso di sangue al cuore (ischemia) o combinazioni di tutti e tre.

Il più grande studio di questo genere

Lo studio è stato condotto su 148 pazienti provenienti da sei ospedali per malattie acute a Londra ed è il più grande pubblicato fino ad oggi che ha avuto come obiettivo quello di indagare su pazienti Covid-19 convalescenti che avevano aumentati livelli di troponina. Questa sostanza viene rilasciata nel sangue quando il muscolo cardiaco è danneggiato. Livelli aumentati possono verificarsi quando un’arteria si occlude o c’è un’infiammazione del cuore. Molti pazienti ricoverati con Covid-19 hanno aumentati livelli di troponina durante la fase critica della malattia, quando il corpo sviluppa una risposta immunitaria esagerata all’infezione. I livelli di troponina erano elevati in tutti i pazienti in questo studio; sono stati poi seguiti con scansioni MRI del cuore dopo la dimissione al fine di comprendere le cause e l’entità del danno.

I rischi di elevati livelli di troponina

“Livelli elevati di troponina sono associati a esiti peggiori nei pazienti Covid-19“, dice Marianna Fontana, professoressa di cardiologia all’University College di Londra (Regno Unito), che ha guidato la ricerca assieme a Graham Cole, un cardiologo consulente presso l’Imperial College di Londra. “I pazienti con grave malattia da Covid-19 spesso hanno problemi di salute cardiaci preesistenti tra cui diabete, aumento della pressione sanguigna e obesità. Durante una grave infezione da Covid-19, tuttavia, anche il cuore può essere direttamente colpito. Annullare i danni è più difficile, ma le scansioni MRI del cuore possono identificare diversi modelli di lesione, che possono consentirci di fare diagnosi più accurate e di indirizzare i trattamenti in modo più efficace”, aggiunge.

Le conclusioni della ricerca

I ricercatori hanno studiato i pazienti Covid-19 dimessi fino a giugno 2020 da sei ospedali britannici. Ai pazienti che avevano livelli anormali di troponina è stata fatta una risonanza magnetica del cuore dopo la dimissione, poi confrontata con quelle di un gruppo di controllo di pazienti che non avevano avuto Covid-19, nonché con 40 volontari sani. “Abbiamo trovato prove di alti tassi di lesione del muscolo cardiaco che potevano essere visti sulle scansioni un mese o due dopo la dimissione. Anche se alcuni di questi potrebbero essere preesistenti, la risonanza magnetica mostra che alcuni erano nuovi e probabilmente causati da Covid- 19″, riferiscono i ricercatori. “Nei casi più gravi, si teme che questa lesione possa aumentare i rischi di insufficienza cardiaca in futuro, ma è necessario continuare la ricerca per indagare ulteriormente”, concludono.

 

Per approfondire AGI




Competenza e esperienza nella diagnosi cardiologica elettrocardiografica ed ecocardiografica.

Riconoscimento di cardiopatia ischemica cronica;
aritmie cardiache, ipertensione arteriosa e cardiomiopatie.



Socials


Facebook

Dott. Luca Paolini



Copyright by A1 2020 All rights reserved.

WP2Social Auto Publish Powered By : XYZScripts.com