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Riflessioni, notizie, suggerimenti che più mi sono "a cuore" per il nostro cuore
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QUANTO È DIFFUSA LA COCAINA?

l’UNODC (l’agenzia delle Nazioni Unite che monitora il consumo di droghe nel mondo) segnala come negli ultimi anni in alcuni Paesi del mondo, soprattutto nel Nord America e nell’Europa Occidentale, il consumo della cocaina sia in costante aumento.

La relazione Europea sulle droghe del 2018 concorda nel ritenere la  cocaina sempre più presente nei mercati europei come documentato anche dalle analisi delle acque reflue di alcune grandi città metropolitane.

I prezzi “al dettaglio” sono stabili mentre la purezza di questa droga è al livello più elevato dell’ultimo decennio.

In Europa esistono due tipi di cocaina: il più comune è la polvere di cocaina (sotto forma di sali), mentre, meno facilmente reperibile, è la cocaina crack (base libera) che si assume inalandone il fumo.

Storicamente la maggior parte della cocaina arriva in Europa attraverso i porti, per grandi navi porta container, della penisola iberica ma recenti sequestri suggeriscono come questa rotta non  sia  più la sola. Nel 2016 infatti, il Belgio ha superato la Spagna come paese con il maggior quantitativo di cocaina sequestrata nei porti.

I DATI DELLA RELAZIONE EUROPEA DEL 2021

In Italia, con riferimento alla relazione al parlamento del 2021, si stima che il consumo di cocaina interessi l’1% della popolazione generale pari a circa 4.000.000 di individui fra i 15 ed i 64 anni  mentre, se si analizza solo la popolazione giovanile (15 – 34 anni), la cocaina incide per il 2,5 % pari  cioè a circa 640.000 persone. 

Sono riscontrabili differenze di genere con un rapporto maschi/femmine di 2,3.

DATI SUL CONSUMO DI COCAINA A MILANO

Per quanto riguarda la realtà metropolitana di Milano i dati più aggiornati risalgono alla  primavera del 2015, quando il Dipartimento Dipendenze della ex ASL di Milano ha promosso una ricerca sul territorio metropolitano con l’obiettivo di indagare il livello di penetrazione del consumo/abuso di sostanze psicoattive fra la popolazione nella fascia d’età fra i 15 e i 64 anni.

Sono state intervistate, attraverso un questionario autosomministrato, 3000 persone. L’intervista è stata effettuata in luoghi che permettevano di raggiungere un campione il più possibile rappresentativo della popolazione residente.

Pur tenendo presente gli evidenti limiti di questo tipo di indagini, che necessariamente si basano sulle dichiarazioni volontarie, lo strumento utilizzato  fornisce una fotografia sufficientemente attendibile della situazione locale.

I risultati dell’intervista, confrontati con analoghi dati degli anni precedenti, hanno evidenziato una sostanziale stabilità nelle forme di consumo.

Nell’ambito di questa sostanziale stabilità si possono comunque osservare, per la cocaina, lievi cambiamenti  rispetto alle  rilevazioni precedenti  che indicano nuove  linee di tendenza:

  • oltre il 75% dei consumatori ha una età inferiore a 34 anni;
  • il consumo di cocaina  molto spesso  è associato alla cannabis, all’alcool e al tabacco.

COCAINA: CHI LA USA E COME?

La cocaina a differenza di altre sostanze è generalmente utilizzata in maniera compulsava (binge) seguiti da periodi di non uso che, dal punto di vista neurochimico, corrispondono a un forte esaurimento dei neuro trasmettitori.

Preferenzialmente si utilizza la via nasale (snorting) e solo raramente la via parentale. Di recente è diventato più frequente fumare la cocaina nella sua forma base: il crack.

La cocaina è utilizzata da persone appartenenti a tutti gli strati sociali senza differenze etniche, ed è dimostrato inoltre  che le giovani donne  hanno, rispetto ai loro coetanei maschi, una più elevata probabilità di ricorrere ai binge.

FATTORI IMPLICATI NELL’USO

L’uso di cocaina è strettamente correlato alle proprietà farmacologiche della sostanza, alle caratteristiche dell’individuo e all’ambiente.

Questa sostanza, forse più di qualsiasi altra droga, tende ad essere utilizzata in determinati contesti sociali e da specifici gruppi di persone.

È stato provato infatti come i fattori ambientali siano assolutamente cruciali nel determinare una amplificazione del consumo.
Ancora in gran parte da chiarire l’influenza di particolari quadri personologici o come le diverse strutture di personalità possono essere più o meno vulnerabili all’uso di cocaina.

COME AGISCE? FARMACOLOGIA DELLA COCAINA

Più la sostanza è pura, maggiori saranno gli effetti clinici procurati. Praticamente però la cocaina è sempre adulterata con altri composti come:

  • mannitolo;
  • lattosio o glucosio per aumentarne il volume;
  • caffeina;
  • lidocaina;
  • amfetamina per amplificarne gli effetti (Bastos, Hoffman, 1976).

La cocaina che viene solitamente venduta contiene dal 10 al 50% di principio attivo e solo molto raramente arriva al 70%.

La cocaina dal punto di vista farmacologico è in grado di bloccare il reuptake neuronale di dopamina, noradrenalina e serotonina e di incrementare la trasmissione glutamatergica.

QUANTO DURANO GLI EFFETTI DELLA COCAINA?

Se assunta per via nasale l’emivita – cioè il tempo necessario a dimezzare la concentrazione o l’attività iniziale di una sostanza – è di circa 80 minuti, 60 se somministrata per via parenterale e di 50 min se ingerita.
I metaboliti rilevati nelle urine permangono per circa 1 settimana.

La cocaina, come molte sostanze d’abuso è in grado di indurre tolleranza, dipendenza e astinenza una volta che la sua somministrazione viene bruscamente interrotta.

EFFETTI DELLA COCAINA SULL’ORGANISMO

Gli effetti clinici della cocaina sono direttamente proporzionali alla dose somministrata.

Dosi comprese fra i 25 e 125 mg determinano quelli che sono gli effetti desiderati che consistono in

  • euforia;
  • incremento della socialità e dell’energia;
  • ridotta necessità di dormire;
  • aumento apparente e temporaneo dell’efficienza.

Dosi più elevate di sostanza, superiori ai 150 mg determinano

  • vasocostrizione;
  • incremento della frequenza cardiaca e della temperatura;
  • dilatazione della pupilla dell’occhio in assenza di luce (midriasi)
  • se la sostanza viene assunta per via nasale, forte anestesia locale.

Dosi maggiori di 300 mg possono causare in soggetti anche tolleranti overdose con

  • comportamento stereotipato e ripetitivo;
  • ansia;
  • attacchi di panico;
  • paranoia;
  • allucinazioni;
  • aggressività;
  • violenza;
  • problemi cardiovascolari come infarto del miocardio o angina, aritmie;
  • accidenti neurologici come vertigini, cefalea, visione offuscata, ischemia, infarti ed emorragie.

Attraverso l’aumento cerebrale della dopamina è anche in grado di determinare un incremento dell’eccitazione sessuale.
Normalmente la cocaina viene abusata per la sue capacità psicostimolanti.

Occorre ricordare il sistema nervoso centrale non può essere artificialmente stimolato oltre un determinato limite poiché tende ad un esaurimento metabolico se sovraeccitato in tempi relativamente brevi. È frequente osservare infatti dopo vere e proprie abbuffate forti sintomi di:

  • depressione;
  • mancanza di motivazione;
  • sonnolenza;
  • paranoia;
  • irritabilità e psicosi (Gold, Verebey, 1984).

LE 3 FASI DELL’ASTINENZA DA COCAINA

La sintomatologia astinenziale indotta dalla cocaina, soprattutto nei consumatori cronici, risulta essere particolarmente intensa.

Essa è caratterizzata da tre fasi.

La prima, definita come fase del crash, che compare alcuni giorni dall’interruzione dell’uso (1-3 giorni) è caratterizzata da depressione, difficoltà a dormine e solo da un moderato craving – cioè il desiderio intenso ed incoercibile di assumere la sostanza.

La seconda che compare da 2 a 10 giorni dall’interruzione riconosce il picco della sintomatologia astinenziale con disforia, mancanza di energia, incremento dell’appetito, dolori diffusi e cefalea, ansia, paranoia, allucinazioni, deliri, forti oscillazioni del tono dell’umore, sonnolenza e intenso craving.

La terza fase compare dopo la prima settimana e che può durare anche mesi è caratterizzata da craving episodico, insonnia, irritabilità, agitazione.

Particolarmente interessante dal punto di vista neurobiologico e clinico è uno dei più importanti sintomi della dipendenza da cocaina: il craving.

EFFETTI DELLA COCAINA A LIVELLO CARDIOVASCOLARE

L’ischemia e l’infarto miocardico acuto rappresentano le patologie più frequentemente descritte nell’abuso da cocaina.

ma gli effetti di questa sostanza a livello cardiovascolare sono molti e complessi e possono determinare un ampio ventaglio di complicanze che vanno dalle sindromi coronariche acute alla dissecazione aortica, alla morte improvvisa per cause aritmiche.

Il meccanismo principale, ma non l’unico, è rappresentato da un incremento del livello di catecolamine circolanti e da una stimolazione prolungata dei recettori adrenergici a livello cardiaco. Questa alterazione determina vari effetti, tra i quali un aumento della frequenza cardiaca, della pressione arteriosa sistemica e della contrattilità delle cellule cardiache, fenomeni che conducono a un incremento della domanda di ossigeno da parte del miocardio.

Di contro, a livello coronarico la cocaina induce vasocostrizione e quindi una riduzione del flusso sanguigno al muscolo cardiaco determinando un disequilibrio tra richiesta e apporto di ossigeno e conseguente sofferenza ischemica. 

ALTERAZIONI DELLA COAGULAZIONE

Oltre agli effetti emodinamici, l’utilizzo di cocaina determina anche alterazioni a carico della coagulazione in senso protrombotico; numerosi sono i casi di infarto miocardico da trombosi acuta relati all’utilizzo di cocaina anche in assenza di stenosi significative a livello delle coronarie.

La cocaina promuove la trombosi alterando l’espressione di molecole implicate nell’attivazione e aggregazione piastrinica, ad azione pro-infiammatoria e coinvolte nel processo biochimico della coagulazione.

Tra i principali meccanismi protrombotici correlati all’uso della cocaina, c’è la disfunzione endoteliale: l’endotelio è il “tessuto” che riveste la superficie interna dei vasi sanguigni e dell’endocardio e svolge un ruolo fondamentale nella corretta regolazione del tono vascolare (vasodilatazione e vasocostrizione), nei processi infiammatori, di aterosclerosi e nella coagulazione.

La cocaina, alterando la produzione da parte delle cellule dell’endotelio delle sostanze atte a regolare tutti questi processi, favorisce la formazione di coaguli ed accelera il processo di aterosclerosi. (3)(4)(8)

INFARTO DA ABUSO DI COCAINA

I soggetti con angor o infarto miocardico in atto da abuso di cocaina al momento dell’accesso nei dipartimenti di Emergenza-Urgenza possono essere indistinguibili dalla popolazione generale per caratteristiche e durata del dolore e coesistenza di altri fattori di rischio cardiovascolare (fumo, familiarità, diabete, dislipidemia, etc…), sebbene mediamente si tratti di soggetti di età più giovane rispetto alla media dei soggetti con coronaropatia da altra causa.

Nell’infarto da cocaina i tempi di insorgenza dei sintomi dall’ultima assunzione della sostanza sono variabili dai 30 minuti ad alcune ore (talora tardivo a oltre 15 ore dall’assunzione) con un picco di incidenza dopo circa un’ora dall’utilizzo; l’insorgenza dei sintomi non sempre è correlato alla dose assunta o alla tipologia di somministrazione. (3)

Casistiche su pazienti cocainomani che hanno sviluppato un infarto acuto mostrano come allo studio angiografico possano riscontrarsi quadri sia di coronarie normali che presenza di lesioni stenosanti.

Bisogna sottolineare comunque come nei pazienti con abuso di cocaina si osservi, prevalentemente, un quadro di marcata e diffusa aterosclerosi nonostante una giovane età ed anche in assenza di ulteriori fattori di rischio cardiovascolare.

Nel lungo termine, si può osservare un deterioramento progressivo della funzione cardiaca, anche in assenza di pregressi eventi ischemici sintomatici, con importante riduzione della “funzione di pompa” e lo sviluppo di scompenso cardiaco cronico. Questa disfunzione cardiaca sembra essere il risultato di numerosi fattori quali:

  • ischemia subendocardica asintomatica;
  • esposizione ricorrente all’eccesso di catecolamine;
  • aumento dell’apoptosi (morte) dei miociti;
  • induzione di variazioni nella struttura stessa delle cellule cardiache.

Oltre al danno ischemico mediato dalle catecolamine o da fenomeni di trombosi, la cocaina può determinare un danno diretto alle cellule del miocardio aumentando la produzione di specie reattive dell’ossigeno implicate nei processi di stress ossidativo. (5)

COCAINA E ARITMIE

L’abuso di cocaina è correlato, inoltre, a fenomeni aritmici di vario grado:

  • tachicardia e/o bradicardia;
  • comparsa di disturbi di conduzione;
  • tachicardie sopraventricolari;
  • tachicardia e fibrillazione ventricolare;
  • torsione di punta;
  • comparsa di pattern elettrocardiografici che mimano la sindrome di Brugada (sindrome relata a morte improvvisa).

Anche i meccanismi attraverso i quali la cocaina esercita i suoi effetti pro-aritmogeni sono molteplici. Agendo a livello dei canali ionici (sodio, potassio, calcio), può alterare la normale formazione e conduzione dell’impulso elettrico e l’aumentata “instabilità” delle cellule cardiache, indotta dal quadro di ischemia, determinano un substrato favorevole per l’insorgenza di aritmie sia atriali che ventricolari.

Inoltre, nei pazienti che assumono in modo assiduo cocaina, si osserva frequentemente un quadro ipertrofia ventricolare sinistra, fenomeno che, oltre ad essere associato a infarto, incrementa anch’esso il rischio di aritmie cardiache. (6,7)

INFIAMMAZIONI DEL MUSCOLO CARDIACO

Non è rara nei cocainomani l’insorgenza di endocardite e miocardite, in maggior misura nei soggetti che ne fanno un uso endovena. L’uso di sostanze stupefacenti endovena rappresenta un fattore di rischio per l’ingresso di patogeni nel torrente ematico aumentando il rischio di patologie infettive a carico del tessuto cardiaco e valvolare, ma dalle statistiche la cocaina sembra essere essa stessa un fattore di rischio indipendente rispetto ad altre sostanze assunte sempre per via endovenosa.

Verosimilmente l’aumento della frequenza cardiaca e della pressione arteriosa sistolica ed il quadro di disfunzione endoteliale può determinare un danno a livello vascolare e valvolare in grado di favorire l’ingresso di agenti patogeni nel tessuto.

Nei soggetti cocainomani si osserva, infatti, anche una maggior incidenza di patologie vascolari come flebiti e tromboflebiti.
Anche l’incidenza delle patologie dell’aorta (dissecazione, rottura) e di ictus (sia di tipo ischemico che emorragico) è statisticamente maggiore nei soggetti cocainomani rispetto alla popolazione generale.

COCAINA, FUMO E ALCOOL

Tutti gli effetti cardiovascolari della cocaina risultano amplificati nei soggetti in cui all’abuso della sostanza si aggiunge il fumo di sigaretta.

Anche il concomitante uso di alcool amplifica gli effetti della cocaina, rallentandone la clearance e mediante la formazione di cocaetilene, un estere metilico strutturalmente simile alla cocaina e con attività biologica sui neuroni dopaminergici simile alla cocaina, che si forma a livello epatico quando cocaina e alcol etilico si trovano contemporaneamente in circolo.

ASTINENZA DA COCAINA: TERAPIE COGNITIVO-COMPORTAMENTALI

Sulla base di teorie esistenti sulla dipendenza si sono sviluppate un’ampia gamma di trattamenti del disturbo da uso di cocaina. 

La dipendenza da cocaina offre una minore disponibilità di protocolli farmacologici efficaci per cui l’intervento psicoterapeutico, ed in particolare quello cognitivo-comportamentale, assume un ruolo cardine.

Questo modello di psicoterapia ha consentito la strutturazione di trattamenti che più frequentemente di altri sono stati sottoposti a verifica scientifica di efficacia.

All’interno dell’approccio comportamentale, gli obiettivi e le azioni terapeutiche si articolano in base alle caratteristiche uniche dell’individuo, al suo ambiente familiare, relazionale e lavorativo, alla fase di trattamento ed ai trattamenti  farmacologici concomitanti.

Rispetto agli altri modelli di psicoterapia, gli approcci cognitivo-comportamentali attribuiscono una particolare enfasi al matching fra i bisogni di una persona e gli obiettivi che si vogliono raggiungere. La terapia, inoltre, è organizzata secondo degli step di trattamento a breve termine che prevedono traguardi che di volta in volta sono concordati con il paziente.

Fra questi il primo, in ordine cronologico, è il raggiungimento graduale dell’astinenza soprattutto quando si evidenziano seri rischi per la salute.

Il primo passo delle terapie comportamentali è tuttavia indirizzato a sviluppare una buona alleanza terapeutica per potenziare l’adesione della persona anche agli eventuali trattamenti farmacologici che si dovessero rendere necessari.

Una volta raggiunta l’alleanza terapeutica, il clima di fiducia creato faciliterà l’iniziale contenimento del comportamento di abuso. Il passo successivo  sarà allora un lavoro terapeutico finalizzato ad aumentare la motivazione al cambiamento della persona  rispetto al raggiungimento progressivo  dell’astinenza. Riuscire a vedere scelte diverse rispetto a quelle fatte fino ad ora e imparare a perseguirle.

Il cambiamento dei comportamenti legati alla dipendenza  è pertanto da intendersi come un processo, piuttosto che un evento, e la motivazione non può essere ritenuta o come  interamente presente o come interamente assente.

ANALISI FUNZIONALE DEL COMPORTAMENTO DI CONSUMO

Un altro passaggio terapeutico importante è rappresentato dall’analisi funzionale del comportamento di consumo e dei fattori che lo innescano e che lo mantengono nel tempo. Si tratta di un assessment approfondito che mira ad identificare sia gli stimoli che l’individuo ha imparato ad associare alle sostanze sia gli eventuali fattori protettivi che vanno potenziati.

Le informazioni emerse da questa analisi funzionale consentiranno quindi di approntare dei protocolli di “addestramento” mirati a sostenere gli individui quando l’assunzione di sostanze è divenuta, per loro nel tempo, l’unica e generalizzata modalità di risposta a stati emotivi interni, situazioni stressanti o particolari contesti relazionali.

Il tempestivo riconoscimento delle situazioni ad alto rischio di consumo o situazioni  che innescano “memorie” relative all’uso, rappresentano un obiettivo terapeutico di primaria importanza per  il consumatore di cocaina.

L’individuo  che ha già raggiunto la sospensione del consumo dovrà poi essere aiutato dall’equipe terapeutica ad evitare le situazioni ad alto rischio, a mettere in atto strategie di autocontrollo ed a scegliere comportamenti alternativi all’uso di sostanze.

Considerata la centralità che la sostanza tende a rivestire nella vita del consumatore, un obiettivo rilevante è favorire lo sviluppo di attività alternative al comportamento di consumo che risultano soddisfacenti per la persona.
Il tutto attraverso la costituzione di un clima di lavoro fortemente collaborativo fra equipe terapeutica e paziente.


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Menopausa e cambiamenti cardiovascolari

La menopausa rappresenta una fase naturale che segna la fine del periodo fertile nella donna. È caratterizzata dalla cessazione delle mestruazioni e da una ridotta funzione ovarica, con l’assenza di produzione di follicoli ovarici e ridotta produzione di estrogeni. Questi ormoni hanno degli effetti benefici sul cuore e sui vasi, in quanto regolano la reattività vascolare, la pressione arteriosa, la funzione endoteliale e il rimodellamento cardiaco. Inoltre, gli estrogeni regolano anche il sistema immunitario.

Dopo la menopausa, possono comparire alcuni problemi associati all’apparato cardiovascolare, soprattutto lipertensione arteriosa sistemica, ma anche il diabete mellito di II tipo e l’ipercolesterolemia, che sono detti “fattori di rischio cardiovascolari” in quanto aumentano il rischio di infarto acuto del miocardio e di ictus cerebrali di tipo ischemici. Infatti, mentre queste patologie compaiono più precocemente nell’uomo (circa 10 anni prima), la loro prevalenza tra le donne aumenta dopo la menopausa, proprio perché viene a mancare l’effetto protettivo degli estrogeni.

Gli estrogeni proteggono l’endotelio, che è il tessuto che va a tappezzare la parete dei vasi sanguigni: con la menopausa, questo diviene disfunzionante e iniziano a comparire i primi sintomi come le vampate di calore, e talvolta anche dolori atipici del torace e dispnea da sforzo. Alcuni studi hanno dimostrato che le donne che hanno in menopausa dei sintomi maggiormente marcati, hanno un rischio di sviluppare patologie cardiache nei successivi 5-7 anni, maggiore di circa 2 volte rispetto alla popolazione generale.

Durante la menopausa, inoltre, i cambiamenti ormonali determinano l’aumento della massa grassa, soprattutto addominale, e una diminuzione della massa magra. Il tessuto adiposo viscerale, ossia quello che si trova intorno agli organi nella cavità addominale, produce numerose sostanze, tra cui citochine infiammatorie e fattori di crescita, che stimolano l’infiammazione e favoriscono l’insorgenza di aterosclerosi, di malattie cardiache e tumorali. Inoltre, queste sostanze causano un’alterazione della sensibilità all’insulina e di conseguenza favoriscono lo sviluppo di diabete mellito di II tipo.

La transizione alla menopausa si associa anche al cambiamento del profilo lipidico, con un incremento di circa il 10-15% dei livelli di colesterolo LDL, il cosiddetto “colesterolo cattivo” e dei trigliceridi e anche una diminuzione dei livelli di “colesterolo buono” HDL, che tipicamente nelle donne è più elevato rispetto agli uomini, grazie alla presenza di estrogeni.

Altri fattori associati ad aumento di rischio di sviluppare una cardiopatia ischemica o un infarto del miocardio sono: l’aver sviluppato durante una precedente gravidanza preeclampsia, la familiarità per cardiopatia ischemica, il fumo di sigaretta e la presenza di patologie autoimmuni come il lupus eritematoso sistemico e l’artrite reumatoide.

 

Come proteggere il cuore dopo la menopausa

Il cuire andrebbe sempre protetto, sin da bambini e nel corso di tutta la vita, ma con il sopraggiungere della menopausa è necessario effettuare alcune valutazioni, innanzitutto sullo stile di vita e alcuni controlli.

  1. In primo luogo, l’abitudine al fumo di sigaretta, se non è già stato fatto prima, andrebbe abbandonata. Il fumo danneggia svariati apparati, come polmoni, cuore e determina irrigidimento delle pareti dei vasi contribuendo al deposito di placche nelle coronarie e nei vasi cerebrali, che sono le responsabili di infarti del miocardio e ictus. Da non dimenticare inoltre che il fumo accelera l’invecchiamento cellulare e della cute, rendendo la nostra pelle meno giovane e più grigia;
  2. Il controllo del peso corporeo: è fondamentale mantenere il peso ideale e cercare di non accumulare grasso viscerale, che come detto, produce numerose citochine infiammatorie. Per mantenersi in forma, bisogna seguire una dieta equilibrata, ricca di frutta, verdura, legumi e pesce, poco sale (<5 g/giorno) ridurre al minimo il consumo di carne rossa e di sostanze grasse come formaggi. Inoltre, fondamentale è effettuare attività fisica: meglio uno sport completo di tipo aerobico, come il nuoto, ma se non è possibile, effettuare per lo meno mezz’ora di camminata veloce al giorno. Lo sport e le camminate all’aria aperta hanno anche un effetto benefico sui cambiamenti d’umore e sui sintomi depressivi, che spesso sono frequenti in questa fase della vita.
  3. Misurare la pressione arteriosa. L’ipertensione arteriosa spesso non da sintomi. Per questo motivo, anche se ci si sente in perfetta forma, dopo la menopausa va controllata periodicamente. I valori devono essere al di sotto di 140/90 mmHg. Se sono presenti più di tre misurazioni con valori maggiori è opportuno contattare il proprio medico curante, per valutare l’introduzione di un’eventuale terapia farmacologica.
  4. Effettuare esami ematochimici di controllo: oltre a quelli prescritti dal ginecologo, è importante valutare il profilo lipidico che consiste nel dosare i livelli di colesterolo LDL “colesterolo cattivo”, HDL “colesterolo buono” e dei trigliceridi. I livelli di colesterolo LDL, secondo le ultime linee guida europee, nella donna che non ha mai avuto patologie cardiovascolari o renali deve essere mantenuto al di sotto di 116 mg/dl.Non vanno considerati i valori di riferimento indicati dal laboratorio, in quanto nella maggioranza dei casi sono generici. I valori di LDL target vanno personalizzati in base alle patologie cardiovascolari preesistenti e il ruolo del cardiologo è anche quello di individuare la categoria di rischio ed indicare il valore di colesterolo LDL al quale bisogna puntare attraverso la dieta o con un’appropriata terapia ipolipemizzante.

    Per quanto riguarda il colesterolo HDL, maggiore sono i suoi livelli, e maggiore è il grado di protezione cardiovascolare. Ad oggi non esistono farmaci efficaci che vadano ad aumentare i livelli di colesterolo HDL e solo l’attività fisica e il consumo di frutta e verdura possono determinarne l’incremento.

trigliceridi devono essere mantenuti al di sotto di 150 mg/dl: questi lipidi aumentano nel sangue con il consumo di pasta, dolci ed alcolici. Pertanto, bisogna limitare l’introduzione di queste sostanze. Elevati livelli di trigliceridi possono anche aumentare il rischio di pancreatite acuta. Altri esami da effettuare, oltre alla funzione renale, a quella epatica sono l’acido urico e il dosaggio della vitamina D. Recenti ricerche hanno dimostrato come la carenza di vitamina D è associata, oltre che all’osteoporosi, anche ad un aumento delle malattie cardiache.

  1. Effettuare una visita cardiologica con elettrocardiogramma (ECG). Con l’ingresso in questa nuova fase, è importante valutare lo stato del cuore e capire in quale classe di rischio cardiovascolare si appartiene. Per questo motivo è fondamentale effettuare una visita dal cardiologo di fiducia, con l’esecuzione dell’ECG, che valuta l’attività elettrica cardiaca.

In questo modo, si potrà escludere la presenza di aritmie, come la fibrillazione atriale o la presenza di extrasistoli atriali e/o ventricolari. Sarà poi il cardiologo ad indicare eventuali altri esami di approfondimento. La visita cardiologica è fondamentale nel caso in cui si opterà per l’introduzione della terapia ormonale sostitutiva: in tal caso sarà anche il ginecologo a consigliarla!

 

Quali altre problematiche cardiache sono associate alla menopausa?

Spesso con la menopausa, si presentano ansia, depressione, disturbi del sonno. Questi disturbi possono essere accompagnati da risposte somatiche, come le palpitazioni, che spesso sono solo una percezione maggiore del proprio battito, accelerato in maniera non patologica, altre volte sono associate ad una patologia cardiaca. Per effettuare tale distinzione, è opportuno rivolgersi al cardiologo.

 

Per concludere, la menopausa rappresenta un’importante fase nella vita della donna, durante il quale è necessario preservare la propria salute e prevenire le patologie cardiache, in modo tale da vivere più serenamente le successive fasi della vita. Si tratta di un semplice investimento per godersi al meglio la fase “matura” della vita.

Per approfondire: cardiologia oggi

 

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I dati di uno studio pubblicato sull’European Heart Journal condotto su 148 pazienti provenienti da sei ospedali londinesi mostrano un’importante correlazione tra forma grave di Covid e danno cardiaco

 

Circa il 50 % dei pazienti ricoverati per una grave forma di Covid-19 e che mostravano livelli elevati di una proteina chiamata troponina hanno poi riportato danni al cuore. La lesione è stata rilevata tramite risonanza magnetica (MRI) almeno un mese dopo la dimissione. E’ quanto emerso da uno studio pubblicato sull’European Heart Journal. Il danno al cuore include infiammazione del muscolo cardiaco (miocardite), cicatrici o morte del tessuto cardiaco (infarto), limitato afflusso di sangue al cuore (ischemia) o combinazioni di tutti e tre.

Il più grande studio di questo genere

Lo studio è stato condotto su 148 pazienti provenienti da sei ospedali per malattie acute a Londra ed è il più grande pubblicato fino ad oggi che ha avuto come obiettivo quello di indagare su pazienti Covid-19 convalescenti che avevano aumentati livelli di troponina. Questa sostanza viene rilasciata nel sangue quando il muscolo cardiaco è danneggiato. Livelli aumentati possono verificarsi quando un’arteria si occlude o c’è un’infiammazione del cuore. Molti pazienti ricoverati con Covid-19 hanno aumentati livelli di troponina durante la fase critica della malattia, quando il corpo sviluppa una risposta immunitaria esagerata all’infezione. I livelli di troponina erano elevati in tutti i pazienti in questo studio; sono stati poi seguiti con scansioni MRI del cuore dopo la dimissione al fine di comprendere le cause e l’entità del danno.

I rischi di elevati livelli di troponina

“Livelli elevati di troponina sono associati a esiti peggiori nei pazienti Covid-19“, dice Marianna Fontana, professoressa di cardiologia all’University College di Londra (Regno Unito), che ha guidato la ricerca assieme a Graham Cole, un cardiologo consulente presso l’Imperial College di Londra. “I pazienti con grave malattia da Covid-19 spesso hanno problemi di salute cardiaci preesistenti tra cui diabete, aumento della pressione sanguigna e obesità. Durante una grave infezione da Covid-19, tuttavia, anche il cuore può essere direttamente colpito. Annullare i danni è più difficile, ma le scansioni MRI del cuore possono identificare diversi modelli di lesione, che possono consentirci di fare diagnosi più accurate e di indirizzare i trattamenti in modo più efficace”, aggiunge.

Le conclusioni della ricerca

I ricercatori hanno studiato i pazienti Covid-19 dimessi fino a giugno 2020 da sei ospedali britannici. Ai pazienti che avevano livelli anormali di troponina è stata fatta una risonanza magnetica del cuore dopo la dimissione, poi confrontata con quelle di un gruppo di controllo di pazienti che non avevano avuto Covid-19, nonché con 40 volontari sani. “Abbiamo trovato prove di alti tassi di lesione del muscolo cardiaco che potevano essere visti sulle scansioni un mese o due dopo la dimissione. Anche se alcuni di questi potrebbero essere preesistenti, la risonanza magnetica mostra che alcuni erano nuovi e probabilmente causati da Covid- 19″, riferiscono i ricercatori. “Nei casi più gravi, si teme che questa lesione possa aumentare i rischi di insufficienza cardiaca in futuro, ma è necessario continuare la ricerca per indagare ulteriormente”, concludono.

 

Per approfondire AGI


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Appello alla prevenzione: il cuore non aspetta

Cardiologia e Covid, 4 su 10 non vanno in ospedale per paura del contagio.

La Cardiologia Interventistica Italiana è un’eccellenza mondiale, ha scritto i protocolli di sicurezza contro il contagio per il resto del mondo e ha cambiato le linee guida internazionali per il trattamento dell’infarto. Prof. Giuseppe Tarantini, presidente GISE: “Le procedure invasive oggi sono più che mai strategiche: salvano la vita, ne aumentano l’aspettativa, riducono i tempi di degenza e possono evitare la terapia intensiva”

Questo l’appello di Giuseppe Tarantini, Direttore Emodinamica e Cardiologia Interventistica dell’Azienda ospedaliera Università di Padova e Presidente del GISE, la Società Italiana di Cardiologia Interventistica che ha promosso Sicuri al cuore, la prima campagna nazionale per riportare in ospedale i pazienti cardiovascolari spaventati dal contagio da Covid-19.

maggiori informazioni qui: https://www.insalutenews.it/in-salute/cardiologia-e-covid-4-su-10-non-vanno-in-ospedale-per-paura-del-contagio-appello-alla-prevenzione-il-cuore-non-aspetta/

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Competenza e esperienza nella diagnosi cardiologica elettrocardiografica ed ecocardiografica.

Riconoscimento di cardiopatia ischemica cronica;
aritmie cardiache, ipertensione arteriosa e cardiomiopatie.



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Dott. Luca Paolini



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